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Mastite al seno e allattamento

Tempo medio di lettura: 7 min

La mastite può rendere l’allattamento difficile e doloroso. Scopri come riconoscerla, prevenirla e trattarla in modo efficace.

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Cos'è la mastite?

La mastite è un’infiammazione localizzata del seno che si può verificare quanto si allatta, anche se esiste una forma non puerperale. 

La mastite si verifica infatti nella maggior parte dei casi dopo la gravidanza, durante i primi tre mesi dopo il parto; tuttavia può anche manifestarsi nelle fasi successive.

La mastite in allattamento è spesso l’estrema conseguenza di un ingorgo mammario o di un’ostruzione di un dotto non trattati, a cui si può sovrapporre un’infezione batterica, a sua volta favorita dalle lesioni del capezzolo (le ragadi, provocate dalla scorretta suzione), che rappresentano una porta di ingresso per i germi. 

Per prevenire un ingorgo mammario e la mastite è importante iniziare subito l’allattamento con una certa frequenza, anche prima della montata lattea, e assecondare l’allattamento a richiesta del bambino evitando supporti come ciucci o biberon. 


Mastite in allattamento: i sintomi

Soprattutto nel primo periodo dopo il parto è possibile che il seno si mostri particolarmente turgido e leggermente dolente. 

Le manifestazioni tipiche della mastite vanno però oltre questi disturbi comuni e comprendono:

  • seno gonfio

  • arrossamento della cute

  • eritema locale

  • dolore che si può estendere alla muscolatura toracica e malessere generale

  • sintomi simil-influenzali (come brividi, dolore articolare, vampate, sudorazione, spossatezza e senso di affaticamento) associati a febbre. 

In presenza di tali disturbi, probabilmente si è in presenza di una mastite infettiva che richiede una cura specifica, sotto la guida del proprio medico.

Se la mastite non viene curata sin da subito in modo corretto, c’è il rischio che evolva in un ascesso mammario, che comporta la raccolta di pus nel tessuto mammario. L’ascesso deve essere aspirato con una siringa o drenato chirurgicamente. In questi casi la mamma può continuare ad allattare dal seno sano e anche dal seno interessato dall’ascesso, a patto però che il tubo di drenaggio o l’incisione siano abbastanza lontane dall’areola e non interferiscano con l’attacco del bambino. 

Se la mamma preferisce non allattare dal seno malato o non può farlo è necessario far uscire il latte spremendolo manualmente o con un apposito apparecchio. In genere si può ricominciare ad attaccare il neonato al seno interessato dalla mastite appena l’infezione inizia a guarire, cosa che di solito si verifica nell’arco di due o tre giorni.

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Mastite: cosa fare

Se si sospetta una mastite non bisogna smettere di allattare. Al contrario bisogna continuare l’allattamento offrendo il seno con una frequenza maggiore, fino a 12 volte nelle 24 ore, iniziando dal seno dolente. 

È necessario però controllare sempre la posizione durante la suzione, correggerla se necessario, e drenare l’areola nel caso risulti troppo tesa. Importante anche cambiare la taglia del reggiseno ed evitare di indossare tracolle, spalline di borse, fasce o qualunque tipo di indumento che possa comprimere il seno. 

Anche i massaggi possono aiutare a evitare la formazione di ingorghi. 

Anche un regime alimentare ricco di grassi insaturi (omega 3 e omega 6) e povero di grassi saturi (grassi animali, margarine, grassi idrogenati, oli da cottura) può contribuire a ridurre il rischio di sviluppare mastite.

Esistono alcuni rimedi che possono favorire la risoluzione della mastite, come per esempio fare degli impacchi caldi sul seno nell’area colpita prima della poppata: il calore convoglia il sangue verso il seno, favorendo la guarigione. Altro accorgimento utile sono i massaggi delicati in direzione del capezzolo. 

Nel caso i sintomi persistano e non si riscontrino miglioramenti, si consiglia di consultare un medico per valutare la cura più corretta perché la mastite al seno non va sottovalutata. Non occorre comunque fare esami invasivi come la mammografia. La cosa più importante è evitare il fai da te. Lasciate che sia il medico a prescrivere la cura per la mastite, e ricordate che la terapia non va interrotta con i primi miglioramenti, ma deve essere seguita per tutto il periodo consigliato.

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Per saperne di più

Mastite in allattamento: terapia

Come si cura la mastite? Dipende molto dalla gravità. 

In alcuni casi è sufficiente tanto riposo e qualche piccolo accorgimento, come appena segnalato. Altre volte, in particolare quando la febbre persiste per più di 24 ore oppure quando i sintomi non migliorano dopo una giornata di poppate frequenti o la spremitura del latte, il medico potrebbe prescrivere la terapia antibiotica per la mastite. 

Le ragadi

Se i bambini sono attaccati bene al seno, è raro provare dolore. Tuttavia, può capitare, soprattutto nel periodo neonatale, che il seno dia un po’ fastidio a causa dell’irritazione dei capezzoli. A volte, invece, si possono formare delle ragadi, piccoli taglietti o abrasioni sul capezzolo, indicative di un cattivo attacco del bambino. 

Nulla comunque di cui preoccuparsi perché le ragadi possono guarire intervenendo sulla causa e quindi aiutando la mamma a posizionare e attaccare meglio il neonato al seno durante l’allattamento. 

Inoltre, alcuni semplici consigli possono favorirne la guarigione, per esempio:

  • l’applicazione di latte spremuto sui capezzoli prima o dopo le poppate per lubrificare e ammorbidire i tessuti

  • l’applicazione di un impacco caldo al seno prima delle poppate per stimolare la fuoriuscita di latte

  • l’avvio della poppata dal seno meno colpito nonché il lavaggio dei capezzoli una sola volta al giorno, evitando il sapone comune che rimuove il grasso naturale. 

Con queste precauzioni in genere le piccole lesioni si risolvono in pochi giorni. Se, invece, perdurano oltre le 48 ore, conviene rivolgersi al medico o a un’ostetrica. Nel frattempo potrebbero infatti subentrare altri disturbi come l’ingorgo mammario, l’ostruzione di un dotto lattifero o la più temibile mastite.

L’ingorgo mammario

Talvolta, per le più diverse ragioni, dall’attacco non corretto del piccolo al seno alle poppate poco frequenti e troppo brevi, la mammella non viene svuotata in modo completo e abbastanza di frequente e la quantità di latte prodotta sarà quindi superiore a quella consumata dal neonato. Se ciò avviene, il seno apparirà caldo, duro e dolente e si dovrà parlare di ingorgo mammario. 

Per risolvere l’ingorgo bisogna innanzitutto rimuovere il latte e favorire la lattazione. Un accorgimento utile a questo scopo è massaggiare con delicatezza il seno e spremerlo manualmente per far uscire il latte. In questo modo si ammorbidisce il capezzolo e si facilita l’attacco del bambino. 

Inoltre vanno aumentate le poppate fino a 8-12 nelle 24 ore, offrendo per prima la mammella con l’ingorgo. Per alleviare il dolore avvertito dalla madre è infine utile fare impacchi freddi e indossare un reggiseno comodo e morbido.

Ostruzione dei dotti lattiferi

Accanto all’ingorgo mammario, un altro evento che si può verificare quando si allatta al seno è l’ostruzione di uno o più dotti lattiferi, cioè i condotti che trasportano il latte al capezzolo. Questa problematica può causare l’infiammazione dei tessuti fino alla mastite non infettiva, a cui si può poi sovrapporre la forma infettiva. 

Come nel caso dell’ingorgo mammario, anche l’ostruzione di un dotto è spesso riconducibile a poppate poco frequenti e a un’inadeguata rimozione di latte da una zona della mammella. Altre possibili cause sono la maggiore pressione su una zona del seno per via di un trauma, perché si sta sdraiate a pancia in giù o, più semplicemente, perché si indossano vestiti troppo stretti. 

I tipici sintomi dell’ostruzione sono la percezione di un nodulo e l’arrossamento della pelle sopra il grumo. Per cercare di sbloccare il dotto ostruito, la madre può far alimentare il neonato soprattutto dal seno ostruito, massaggiare con delicatezza il grumo sul seno interessato mentre il piccolo è attaccato, variare le posizioni di allattamento in modo tale da drenare la mammella nelle varie parti. Se si avverte molto dolore, si può inoltre prendere in considerazione il ricorso a una terapia farmacologica, secondo le indicazioni del medico.